“Rubo” questo titolo al direttore de “Il Gazzettino”, quotidiano fondato dal cadorino Gianpietro Talamini, per presentare tre pubblicazioni, che da angoli visuali diversi vogliono «pensare» proprio a chi in montagna ci vive. Sono volumi ai quali ho dato anch’io un contributo e che si segnalano per la profondità delle analisi a cui tendono.
Cito i tre libri in ordine cronologico. Sto parlando di «Identità e istituzioni nel Veneto contemporaneo» a cura di Filiberto Agostini (Cleup, Padova 2014) che seguendo un percorso interdisciplinare approfondisce i caratteri e il patrimonio identitario di questa regione «morfologicamente disuguale, distribuita tra montagne, altipiani, colline, pianure alte o irrigue, riviere, lagune, coste marine o lacustri», come scrive il curatore, docente dell’Università di Padova. Il mio testo è intitolato «Vivere la montagna. Esperienze identitarie». Tra l’altro propongo l’esito di una serie di interviste con una ventina di “stakeholders” residenti nei Comuni montani del Veneto su valori e disvalori del vivere oggi in quota concludendo che «l’esperienza identitaria della montagna veneta mantiene una sua solida, spiccata, connotazione» che nelle pieghe del volume vado a descrivere in dettaglio.
Il secondo volume che desidero citare si intitola «Abitare in montagna. Nuovi scenari tra opportunità e vincoli per la montagna veneta» a cura di Alessandro Bove e Piergianni Da Rold (Cleup, Padova 2015). Si tratta di una pubblicazione con un approccio prevalentemente urbanistico-ambientale nel quale trovano spazio considerazioni e testimonianze a più ampio spettro. In questo filone si inserisce il mio intervento intitolato «Le condizioni per favorire l’abitare in montagna» nel quale – dopo un’analisi Swot del sistema montagna veneto – indico alcune delle «leve» su cui agire se si vuole davvero «pensare» a chi in montagna ci vive.
Più recente (è di giugno 2015) il «Rapporto Montagne Italia», a cura della Fondazione Montagne Italia (FMI), con il quale i promotori intendono «tornare a discutere» delle politiche nazionali e locali a favore dei territori montani e di chi in montagna, appunto, ci vive. L’intero Rapporto (328 pagine piene di dati e tabelle) è disponibile in Internet. Sfogliandolo, si capisce che non vuol essere un dossier di doglianze o di criticità, ma che punta a delineare una rotta e una direzione di marcia utili per restare ad operare in quota.
In sintesi, secondo il Rapporto per meglio governare i territori montani servono:
- un modello di autogoverno di carattere “federalista” e non “centralista”;
- interventi legislativi imperniati sulla «sola montanità», per non appiattire le zone montane all’interno di disegni di carattere più generale;
- lo sviluppo dell’associazionismo intercomunale attraverso lo strumento delle Unioni montane;
- sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici resi a favore della collettività nazionale;
- un’adeguata infrastrutturazione del territorio.
Personalmente, ho partecipato a un’intervista collettiva con un panel di interlocutori e di esperti interessati al “rilancio” dei territori montani in chiave anche di “best practices” a cui fare riferimento. Ma gli spunti da cogliere sono veramente tantissimi.